La virtù teologale della Carità.

Bertilla ha dimostrato l’amore a Dio con una vita di preghiera intensa, l’amore a Gesù con una vita di amicizia profonda con Colui che definiva il suo tutto.

All’amore delle realtà celesti Bertilla univa l’amore alle realtà umane e terrene: amava la natura, amava ancor più i bambini, la mamma, la famiglia, le compagne di scuola, le malate, le suore, il personale medico. Amava i sacerdoti, i peccatori, i moribondi, le anime del purgatorio per i quali offriva le sue giornate e le sue preghiere e sofferenze. Amava la chiesa e le sue intenzioni. Colpisce in particolare il fatto che lei pregasse e offrisse alcune delle sue giornate più sofferte per il Concilio Vaticano II, in atto negli anni 1960, quando la malattia di Bertilla andava acuendosi.

Bertilla con il nipotino

La condivisione delle pene e il reciproco conforto. Questa che sembra solo uno sfogo umano, diventa invece per Bertilla e per le sue compagne un gesto di carità, in nome di quell’opera di carità spirituale che si chiama: “Confortare gli afflitti”. La beatitudine di Gesù “beati voi che siete afflitti perché sarete consolati” trova nello scambio fraterno, nella conversazione, nel dirsi reciprocamente le tribolazioni, uno strumento di conforto. Anche qui troviamo spesso nelle lettere di Bertilla alcune espressioni che ci fanno capire come la comunicazione fraterna delle sofferenze faccia parte di quel bisogno dell’essere umano di sentirsi capito, accolto, amato, sostenuto, incoraggiato.

Bertilla ha vissuto momenti di profondo sconforto e ha compreso l’importanza del conforto reciproco. In una lettera a suor Stella, una delle suore dorotee che tanto le furono vicino, scrive: “Si ricorda quel giorno che siamo andati in chiesa? Che emozionata che ero!… Ricordo anche di quella mattina che mi ero messa a piangere a dirotto e lei con tanta pazienza mi chiedeva che cosa avevo da piangere. Ero moralmente abbattuta e scoraggiata. A volte il lavoro dell’ammalata è molto duro, ma tutto questo avviene perché sono cattiva e poco generosa nell’accettare con amore tutto quello che Dio mi manda. Ma d’ora in poi voglio essere più forte…”. Nella medesima lettera aggiunge: “Suor Stella, le chiedo scusa perché penso di averla stancata ogni volta, a furia di chiamarla. La ringrazio per la sua bontà e gentilezza che ha usato con me e delle sue buone parole che ha gettato nel mio cuore nei momenti in cui avevo più bisogno”

Mattea Giuseppina che frequentò Bertilla fin da piccola scrive: Bertilla si comportava con noi con molta riconoscenza, sembrava una che fosse sempre in debito con gli altri. Ci ringraziava perché lasciavamo i nostri giochi per andare a visitarla. Come ho già detto Bertilla aveva un buon rapporto con i familiari”.

La cugina Gaetana aggiunge: “Bertilla esprimeva il suo amore verso i familiari e i parenti con il sorriso. Non l’ho mai vista alterata nei confronti dei suoi cari. Aveva parole e atteggiamenti di riconoscenza specialmente con sua madre che cercava di confortare.

Bertilla con l’amica infermiera

Riflessione

Bertilla non ha fatto prediche o lezioni sulla sofferenza e sul dolore: se 1’è trovato addosso fin dall’infanzia e non ha detto: sono una disgraziata, una sfortunata, una fallita. Se, al limite, si può pensare che nell’infanzia non ci si rende conto della gravità e delle conseguenze di una situazione, nell’adolescenza e nella giovinezza non puoi più rimanere indifferente o insensibile alla croce che ti sta sulle spalle.

Bertilla, questo l’ha capito e sperimentato, senza enfasi o false maschere e sapeva ugualmente gioire, sapeva trasmettere serenità e conforto.

Chi l’avvicinava o stava con lei nelle lunghe ore della malattia, vedeva trasparire dal suo viso, anche se provato dal dolore, una forza ed un invito alla serenità. Le sue compagne malate, le suore del reparto, perfino i medici, di solito professionalmente poco inclini a sentimentalismi, venivano come contagiati dalla sua calma, dalla sua fiducia, dalla sua pazienza. (Don Aldo de Toni, La primavera dell’amore. Bertilla Antoniazzi: una piccola grande storia. p.53)

Preghiera

O Gesù fammi pura, obbediente, umile. O Gesù aumenta la mia fede, abbassa la mia superbia, la mia ambizione.

O dolcissimo Gesù ti offro le mie sofferenze, i miei dolori per la conversione dei poveri peccatori, per la santificazione dei sacerdoti, per le intenzioni del Sommo Pontefice, per i missionari e gli infedeli, per la mia famiglia, per tutti quelli che si raccomandano alle mie orazioni, per gli ammalati, affinché tutti possano avere il conforto della fede.

Ti offro o Gesù il mio letto di dolore per consolare il tuo povero cuore di tante offese che hai ricevuto da me e da tutti gli uomini e che ricevi continuamente.

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Luigi Grandi (notaio nel processo diocesano per la beatificazione)