La speranza teologale ha come fondamento Dio, roccia della nostra speranza, fondamento certo delle sue promesse e che trova compimento, come la fede, in cielo. È il Paradiso, per dirla con una parola molto presente nel linguaggio di Bertilla. È una parola, però, che appare verso la fine del pellegrinaggio di Bertilla su questa terra, quando lei sentiva di essere oramai prossima alla meta.

Nelle sue ultime lettere percepisce di avere raggiunto la volata finale. Alla cugina Veronica scrive: “Adesso devo rimanere sempre a letto, ma se non mi vengono degli attacchi forti, non sto del tutto male. Ad ogni modo l’importante è fare sempre la volontà del Signore che è tutto, il dolore è niente, passa, resta solo il merito se lo uniamo a quello di Gesù per la salvezza delle anime”.

Bertilla assieme a Maria Torcutti, infermiera nel reparto. Lei e l’amica Rosina Viadarin che era in quel tempo ricoverata, tennero sempre vivo il ricordo di Bertilla per avviare la causa di beatificazione.

La preghiera è l’alimento segreto e nutriente della speranza; lo fu per Bertilla come lo fu per tante anime impegnate nel progetto di Dio. Scrive papa Benedetto XVI: “Un primo essenziale luogo di apprendimento della Speranza è la preghiera. Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi – dove si tratta di una necessità o di un’attesa che supera l’umana capacità di sperare – Egli può aiutarmi”.

A suor Elisetta, nel febbraio 1964, scrive: “Qualche volta mi scoraggio, ma poi penso che tutto è niente, che tutto passa, penso che quelle che si divertono non acquistano niente e poi sono più in pericolo di peccare e allora mi compiaccio di stare nel mio letto e di soffrire un po’. A volte mi sembra di essere cattiva di non amare veramente il Signore come richiede la sua bontà. Per questo la prego di ricordarmi nelle sue preghiere e anch’io mi ricorderò sempre di lei”.

Dello stesso tono è quanto scrive in una lettera dall’ospedale di Vicenza, nell’aprile 1964: “Cosa vuoi è meglio che approfittiamo adesso che ne abbiamo l’occasione, per offrire le nostre sofferenze, così avremo molto merito in cielo”.

Le testimonianze confermano la costante fiducia in Dio.

Maria Torcutti, che assisteva Bertilla, come infermiera: “Ho ancora presente, quando durante i turni notturni mi avvicinavo al suo letto e si potevano contare i battiti del suo cuore. Bastava avvicinarsi per capire perché non riuscisse a dormire. Lei diceva: “Mi manca il respiro” e lo diceva più con gli occhi che con la bocca. Poi aspettava fiduciosa. Una forte fiducia nel suo Dio che ha sempre manifestato. Con Lui e con Maria, sua madre, era sempre in contatto, le sue mani non abbandonavano mai il rosario.”

Rosina Viadarin racconta: “Bertilla aveva sempre un sorriso per tutti, il suo rosario tra le dita che sgranava nelle interminabili giornate era il filo che la legava al Paradiso, perché era già un angelo in mezzo a noi e questo lo si avvertiva solo a starle vicino, la sua bontà traspariva dai suoi occhi.”

Renata Zaccaria racconta un fatto in cui la speranza in un premio eterno era certezza: “Rammento che, un giorno, sotto l’ospedale passava la corsa dei corridori e lei aveva una gran voglia di vederla, sennonché disse: “Dopo averli visti cos’hai? Niente! Invece, se per amor di Dio facciamo un fioretto, acquisteremo merito per la nostra salvezza.” Fu così che, anch’io non andai alla finestra per vedere i corridori che tanto mi attiravano e, rimasi vicino a lei a recitare un Pater Ave Gloria. Le assicuro che mi sono sentita più felice, anche senza aver visto la corsa”.

Bertilla nella stanza dell’ospedale di Vicenza

Preghiera

O Gesù, ogni respiro che parte dal mio cuore, ogni minuto che passa, ogni momento della vita, ogni mia stilla di sangue, ogni filo d’erba, ogni granellino di sabbia, ogni goccia d’acqua, ogni foglia, ogni movimento, ogni mia piccola azione, ogni battito del mio cuore, fa che sia tutto un atto d’amore, tutte prove d’amore, carezze continue d’amore, fa che sia tutta una preghiera continua: tutto per amore tuo o Gesù.

Riflessione

Il suo grande desiderio era sempre quello di fare con amore la volontà di Dio ed anche la morte era per lei una offerta da compiere per amore verso il Signore.

La morte è come l’ultimo accordo della sinfonia della vita; e per Bertilla è stato un accordo proprio in sintonia con lo stile di tutta la vita.

La morte illumina tutta la vita vissuta e per Bertilla è stata come uno squarcio di sereno che fa intravedere il punto di arrivo che è la gioia finale. Era vissuta, Bertilla, nel silenzio, nella semplicità, nel continuo dono d’amore; aveva fatto tutto con un amore sempre crescente verso Dio, verso le persone che incontrava.

Ed ora sta morendo come è vissuta: il suo ultimo dono d’amore, un dono d’amore che si dipinge sul suo volto sereno, sulla calma e cosciente accettazione, senza lamentele anche nel momento più difficile e sacro dell’esistenza terrena.

Bertilla era preparata. In una lettera alla sua cara mamma scrive: “Non piangere, sono contenta di morire. Non piangere che vado in paradiso”.

Sicuramente è morta con l’ardente desiderio di incontrarsi con Colui che tanto amava, ma anche con il tacito dispiacere di non aver fatto di più per rassomigliare al Cristo crocefisso e risorto.

In quel momento le sue continue preghiere divenivano preghiera di offerta e di amore.

Era come il preludio dell’incontro definitivo con quel Dio che le si era rivelato dolcemente e gradualmente negli anni della malattia. (Don Aldo de Toni, La primavera dell’amore. Bertilla Antoniazzi: una piccola grande storia)

La considerazione che è stata inviata

Bertilla parlava spesso del Paradiso…. da pochi anni ho iniziato a partecipare ai funerali in parrocchia come condivisione, nella comunità, della preghiera e spesso sono momenti di Cielo e non tristi. Stamattina ero incerta. C’era un funerale in parrocchia di un uomo di 54 anni che non conoscevo. “Vado? C’è posto?” Alla fine parto. Fuori dalla chiesa tanta gente…non ci sarà posto ma provo ad entrare. Dentro quasi vuota e mi chiedono di leggere. In prima fila un ragazzino asiatico dall’aspetto, una suora e 2 donne. Guardo questo bambino rimasto orfano di padre, Pietro.
Finita la messa escono tutti ma loro aspettano. Sento che volevo conoscere quel bambino.
Inaspettatamente, da solo, si dirige verso l’altare della Madonna. Allora lo seguo e gli chiedo: Pietro tu non sei italiano, di dove sei?
Della Cambogia.
Ma sai che anche uno dei miei 2 figli sono della Cambogia! Allora prega la Madonna e vedrai che non ti sentirai solo e ti farò conoscere i miei 2 figli, il più piccolo ha la tua età 12 anni. Gli mostro la foto.
Che sport fai? Nuoto risponde. Alloro gli dico…tu nel nuoto e Sam nell’atletica dovete diventare forti e gareggiare per la Cambogia.! Ok. A presto. Il Cielo con tutti gli angeli era sopra di noi.
Preghiamo Bertilla per questa famiglia, erano separati i genitori.

                                                                                                               Carla

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Luigi Grandi (notaio nel processo diocesano per la beatificazione)